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“Profumo di torrone, il velo bianco che lo avvolge. Piovono granelle croccanti sui vestiti al primo morso. E torna di nuovo l’infanzia.” (Fabrizio Caramagna)
Novembre, il mese del torrone, il mese in cui si ritorna bambini. Il tipico dolce italiano compare nelle fiere, nei mercati, sulle tavole di tutta la Penisola, nelle sue infinite versioni. Dal torrone sardo di mandorle tostate al torrone siciliano, in cui trionfano i pistacchi. C’è chi preferisce il torrone di mandorle, chi va pazzo per il torrone alle nocciole piemontesi. C’è chi ama il torrone morbido e chi preferisce la dolce croccantezza. Famosissimo il torrone di Cremona, ma l’unico torrone italiano ad aver ricevuto, ad oggi, il pregio del marchio igp è il torrone di Bagnara, il dolce calabro di cui oggi ci accingiamo a scoprire i segreti.
Il torrone italiano di Bagnara: dolcezza a marchio Igp
Ci troviamo a Bagnara Calabra, una cittadina della provincia di Reggio Calabria, situata a pochi chilometri dallo Stretto di Messina, in una zona costiera chiamata Costa Viola. A Ovest è bagnata dal mar Tirreno ed è situata in un’insenatura tra le colline a strapiombo sul mare. Qui si coltivano agrumi e bozzoli di gelso, si pesca pesce-spada e si produce torrone. La tradizione dolciaria è stata portata qui dalla Spagna, da una nobile donna, e negli anni la ricetta originale ha subito notevoli cambiamenti grazie agli ingredienti di cui è dotato il territorio calabrese: il miele di zagara e le mandorle spontanee.
La storia del torrone
Da dove parte la storia di questo torrone? Dai traffici dell’omonimo centro marinaro, molto attivo nel ‘700, quando nascono le spezierie, che legavano la tradizionale produzione locale di mandorle e miele con lo zucchero e le droghe di provenienza esterna. I veri esperti del luogo nella preparazione di dolci erano i monaci dell’abbazia di Bagnara.
Nella metà del 1800 nacque la prima fabbrica di torrone, grazie a Francesco Antonio Cardone, che riprese la vecchia ricetta dei monaci, vi apportò qualche modifica e la rese famosa. Da quel momento in poi, esattamente come per la ricetta del torrone siciliano, anche quella del torrone di Bagnara è stata tramandata da padre in figlio. Dal 1846 la famiglia Cardone ne fa una specialità assoluta e diventa fornitore ufficiale della Real Casa di Savoia. Il torrone calabro approda poi anche in America: fino agli anni ’30, il transatlantico Rex trasportava molte tonnellate di torrone di Bagnara per i bistrot newyorkesi. Ad oggi il procedimento del Torrone non è uguale per tutti i laboratori, molte pasticcerie hanno industrializzato la produzione, altre botteghe continuano a produrre il torrone fatto in casa, come una volta.
Ingredienti torrone di Bagnara
Questo torrone artigianale si ottiene dalla cottura e lavorazione di miele, zucchero e mandorle non pelate tostate, cannella e chiodi di garofano in polvere e con la copertura di zucchero in grani o cacao amaro. A seconda dei gusti può restare torrone bianco, nella versione Martiniana, o può diventare torrone di cioccolato, ricoperto di cacao amaro, nella versione torrone torrefatto glassato. La forma è quella di un parallelepipedo rettangolare con spigoli smussati. La superficie increspata è di colore marrone, esattamente manto di monaco, ricoperta di zucchero in grani, nella versione martiniana. Il torrone glassato, invece, presenta una superficie lucente, liscia e levigata, di colore marrone scuro.
Anche i gusti sono differenti, sebbene entrambe le consistenze siano croccanti e friabili grazie alla giusta tostatura delle mandorle e all’alta temperatura alla quale è stata sottoposta la massa zuccherina. Il cacao amaro bilancia la dolcezza dell’impasto da una parte, mentre dall’altra a donare il tocco amaro di pensa la sensazione di brulé con leggero retrogusto speziato.
Come si fa il torrone?
La ricetta del torrone comincia con la cottura del miele, dello zucchero e delle mandorle non pelate, a fuoco diretto a una temperatura iniziale di 160/200° C finché mescolando meccanicamente il composto raggiunga un colore marrone cosiddetto a “manto di monaco”. Si passa poi ad aggiungere l’albume o l’albumina d’uovo, a cottura lenta, finché la massa zuccherina presenti a temperatura ambiente una consistenza vetrosa che proprio come il vetro si frattura alla pressione. Per un ottimo torrone la ricetta prevede poi l’aggiunta di cannella e chiodi di garofano in polvere. Nella versione Torrefatto glassato ci sono anche vanillina e/o oli essenziali di agrumi. Il composto è versato in apposite forme per farlo raffreddare fino ad una temperatura tale da consentire la sua manipolazione. Dopo la porzionatura in pezzi, per ottenere i caratteristici torroncini calabresi, si procede alla glassatura ottenuta da zucchero semolato prima sciolto in acqua e oli essenziali di agrumi e poi cotto una temperatura di 110/118°. Il giusto mix di ingredienti del torrone ne garantisce le caratteristiche organolettiche uniche.
Il torrone ha un tempo di conservazione di un anno, ma è consigliabile consumarlo entro tre mesi dal confezionamento per apprezzarne al meglio le qualità organolettiche. Si consiglia di conservarlo in posti asciutti, affinché non assorba l’umidità che lo farebbe ammorbidire troppo causando sia lo scioglimento della glassatura che la formazione di screpolature, ma anche un peggioramento della speciale croccantezza interna. Da Novembre fino alla fine delle feste natalizie, viene consumato abitualmente in ogni parte d’Italia. L’abbinamento perfetto? Quello con il vino passito di uve Zibibbo coltivate nei tipici terrazzamenti detti armacie.
La dolcezza dello zucchero, il tocco amaro delle mandorle, la glassatura al cioccolato. Una croccantezza che conquista il palato, nata dalla storia d’amore tra miele e albume. E se siamo tutti più buoni a Natale, lo dobbiamo al torrone, al dolce che mette d’accordo tutti, che nasce in autunno per accompagnare l’inverno con bontà.
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