“Ma filmare è vivere, e vivere è filmare.” Con queste parole Bernardo Bertolucci descriveva il suo cinema, la sua vita. Poche biografie possono dirsi completamente sovrapponibili tra vita e lavoro come quella di questo grande regista italiano, scomparso recentemente. Tra le storie d’eccellenza spetta un posto d’onore a chi ha saputo modificare con maestria la sterile materia della quotidianità, trasformandola in film consegnati al patrimonio della storia del cinema internazionale. Regista e sceneggiatore, perché ogni storia prima di essere filmata, va raccontata, va impressa su carta, come un dipinto su tela. E anche la storia della sua vita in fondo è stato un film, un gran bel film.
Bernardo Bertolucci: dagli esordi alla fama mondiale
Bernardo nasce il 16 marzo 1941 a Parma, respirando la stessa aria che diede i natali a Giuseppe Verdi. Un’infanzia vissuta in campagna, sotto lo sguardo attento del padre Attilio, celebre poeta e critico letterario. Il talento di Bertolucci non restò confinato troppo a lungo e la sua cinepresa da 16 mm, fedele compagna dell’adolescenza, divenne ben presto lo strumento con cui realizzare i primi cortometraggi. Poi il trasferimento a Roma, l’iscrizione alla Facoltà di Lettere Moderne e la passione per la poesia, premiata nel 1962 con il Premio Viareggio Opera Prima per il libro in versi “In cerca del mistero”. L’amore per il cinema, momentaneamente nascosto in un cassetto, spinge per tornare protagonista della sua vita. E allora Bernardo abbandona l’università e comincia il lavoro da assistente alla regia in “Accattone”, primo film di Pier Paolo Pasolini, di cui era amico e vicino. Ma non si può tenere costretto un cavallo di razza in una scuderia troppo a lungo e così, appena lasciato libero di correre, Bernardo Bertolucci comincia a tracciare il percorso di un cinema tutto suo. Nel 1963 debutta alla regia de “La commare secca”. L’anno successivo realizza “Prima della rivoluzione” e più tardi collabora con Sergio Leone alla sceneggiatura di “C’era una volta il West”. A vent’anni conosce tutti nel mondo della cinepresa e tutti lo conoscono.
Bernardo Bertolucci: un posto meritato tra i grandi del cinema
Negli anni ’70 nasce una collaborazione che determinerà l’ascesa di Bertolucci nell’Olimpo dei registi mondiali, quella con il mago della fotografia Vittorio Storaro. 1972: la data della svolta nella carriera di quel ragazzo che amava il cinema: esce uno dei suoi capolavori “Ultimo tango a Parigi” ed è subito scandalo. La censura blocca la riproduzione del film, la pellicola viene ritirata da tutte le sale cinematografiche: una sentenza della Cassazione lo manda al rogo. Siamo negli anni Settanta, ma in Italia si respira aria da Inquisizione seicentesca. Solo una copia sopravvive allo scempio, mentre Bertolucci viene condannato a due mesi di prigione e privato del diritto di voto per cinque anni. Solo nel 1987 film e regista verranno riabilitati. L’eco della vicenda non fece altro che accrescere la popolarità della pellicola: la curiosità si diffuse come una folata di vento e spazzò via l’onta dell’immoralità. Nel 1976 arriva il primo kolossal, “Novecento”. Nel cast compaiono future star come Robert De Niro, Gérard Dépardieu e Stefania Sandrelli al fianco di giganti già affermati come Burt Lancaster e Donald Sutherland. Un paio di parentesi cinematografiche non incontrano il favore del pubblico: parliamo di “La luna” e “La tragedia di un uomo ridicolo”. Piccoli passi falsi che non sporcano il cammino di Bertolucci verso il suo successo più grande: “L’ultimo imperatore”, pellicola che ricostruisce la vita di Pu Yi, ultimo imperatore cinese. 9 premi Oscar, tra cui l’unico mai ricevuto da un italiano per la miglior regia. L’unica pellicola nella storia di Hollywood a ricevere tutti gli Oscar per la quale è candidata. Quella cinepresa da 16 mm è solo un dolcissimo ricordo: Bernardo ora è incoronato come il re del cinema mondiale. All’apice del successo il regista italiano realizza altre due superproduzioni internazionali d’autore: “Il tè nel deserto” e “Piccolo Buddha”. Poi nel 1996 torna a girare in Italia, precisamente in Toscana, e realizza “Io ballo da sola”. Due anni dopo tocca a “L’assedio”, lavoro che la critica ha definito un “inno al cinema”. Svestiti per un po’ i panni del regista, Bernardo Bertolucci indossa quelli del produttore e firma la sceneggiatura de “Il trionfo dell’amore”, diretto da sua moglie Clare Peploe. L’ultimo capolavoro consegnato al mondo dal suo sguardo privilegiato, prima della scomparsa, avvenuta a 77 anni lo scorso 26 novembre 2018, è “The dreamers”, vincitore della Palma d’Oro al festival di Cannes.
Bernardo Bertolucci: il suo genio dietro capolavori indimenticabili del grande schermo
L’arte di fare cinema di Bernardo Bertolucci ha regalato al cinema di tutti i tempi dei grandi film, considerati da critici, addetti ai lavori e semplici spettatori dei capolavori, da utilizzare come esempio di ciò che il cinema dovrebbe essere, di quello che un regista dovrebbe fare. L’eccellente regia d’autore italiana porta il nome di Bernardo Bertolucci. Ecco dunque le sue pellicole più preziose, frutto del magico incontro tra la penna e l’occhio.
Novecento (1976)
Tre sceneggiatori per un capolavoro: Franco Arcalli, Giuseppe Bertolucci e lo stesso Bernardo lavorano ad una delle più belle storie mai raccontate sul grande schermo. Una nazione e la sua evoluzione vista attraverso le vite di due uomini legati dal filo rosso del destino. Alfredo Berlinghieri (Robert De Niro) e Olmo Dalcò (Gérard Depardieu) sono nati nello stesso giorno, un freddo giorno di gennaio del 1901. Due strade diverse segnate da un marchio originale opposto: da una parte il ricco Alfredo, figlio di facoltosi proprietari terrieri; dall’altra il povero Olmo, figlio della contadina Rosina che suda proprio tra le fila della terra dei Berlinghieri. Oltre ogni barriera di classe i due ragazzi crescono insieme, gomito a gomito, e diventano amici fraterni. Le loro storie individuali si intrecciano con i grandi cambiamenti dell’Italia degli anni ’50. Colonna sonora firmata Ennio Morricone e cast a cinque stelle.
Il conformista (1970)
Un adattamento per il grande schermo dell’omonimo romanzo di Alberto Moravia. Il film è ambientato nella Roma del 1938. Marcello (Jean-Lous Trintignant) è un insegnante di filosofia, ma anche una spia fascista che ha il compito di uccidere un suo ex professore. Non è la prima volta che le sue mani si macchiano di sangue: ha già ucciso, da ragazzino, per difendersi da un tentato abuso. L’impatto con la realtà smonterà il suo bagaglio di illusioni e si ritroverà a vivere una vita in cui stenterà a riconoscersi, con l’unico scopo del conformismo che richiede la società.
L’ultimo imperatore (1987)
Una delle pietre miliari della storia del cinema internazionale Bertolucci la scrive e la dirige. Una pellicola ambientata fra gli inizi del ‘900 e gli anni ’50 che ci racconta la vita di un predestinato, un uomo che porta sulle spalle le sorti di un intero popolo: l’ultimo imperatore cinese. Peter O’Toole, Joan Chen, Victo Wong e Dennis Dun sono gli interpreti di un film consegnato all’eternità. Tutto è orchestrato per restituire agli occhi dello spettatore uno spettacolo indimenticabile: dalla fotografia alla scenografia, passando per costumi e colonna sonora. Il tempo si ferma, il respiro pure.
Strategia del ragno (1970)
Un prodotto che non nasce come cinematografico, ma che lo diventa, dopo essere stato confezionato dalla RAI per il piccolo schermo. Una storia semplice, ma di grande impatto, che tratta temi cari alla memoria italiana. Athos Magnani (Giulio Brogi) torna a Tara, la città in cui suo padre (interpretato sempre da Brogi) è morto assassinato nel 1936. Draifa, l’amante di quell’uomo scomodo, eroe della Resistenza accoglie il figlio in quella cittadina di provincia, tra gli sguardi degli abitanti malfidati e omertosi. Le ricerche di Athos porteranno alla luce un passato diverso, sorprendente, inaspettato.
Il tè nel deserto (1990)
Debra Winger e John Malkovich. L’interpretazione è da brividi: una coppia in crisi decide di partire per un viaggio nel deserto del Sahara, ultimo tentativo prima di chiudere la relazione. Siamo nel 1947: i pericoli sono tanti, troppi e qualcosa in quel viaggio cambierà per sempre le loro vite.
La commare secca (1962)
Uno dei primi lungometraggi firmato Bernardo Bertolucci fu scritto da Pier Paolo Pasolini. Un parco di Roma, l’omicidio di una prostituta, un gruppo di sospettati interrogati dalla polizia. Non è facile per gli inquirenti districarsi in quel labirinto di dichiarazioni controverse. Una sola certezza: tra di loro si nasconde l’assassino. Diverse versioni della verità, un solo colpevole.
The Dreamers (2003)
Il film esteticamente più bello di Bernardo Bertolucci è anche l’ultimo che porta la sua firma. Una pellicola visionaria, ricercata, che cerca di raggiungere il perfetto equilibrio tra stile e contenuto. La storia è quella di uno studente americano, Matthew (Michael Pitt) che nel 1968 va a Parigi per imparare il francese. Una città nuova, una lingua nuova e la difficoltà nell’intrattenere relazioni sociali spingono Matthew a chiudersi costantemente in un cinema. Qui la sua immaginazione può esplorare mondi che lo rendono più felice di quello in cui vive. Un incontro fortuito sembra cambiare il suo destino: Isabelle (Eva Green) e il suo fratello gemello (Louis Garrel) lo invitano a vivere con loro. Ne nasce un rapporto ambiguo, un perverso gioco che li porta sull’orlo del baratro. In questa pellicola innovativa c’è tutta la ribellione della rivoluzione studentesca del ’68, la voglia di infrangere le regole e di cambiare direzione rispetto alla massa.
Io ballo da sola (1996)
Il ritratto di una giovane donna, colta nella fase più intensa della sua crescita. Dopo la morte della madre, Lucy Harmon (Liv Tyler) parte per un viaggio in Italia. L’obiettivo è ritrovare se stessa. Troverà, invece, un gruppo di artisti che cambieranno la sua vita. Un film poetico con una splendida colonna sonora che ci fa abbandonare alla vita, alla scoperta di un modo nuovo, libero da pregiudizi e pieno di quella libertà così cara a Bertolucci. Il regista sceglie una sceneggiatrice, perché nessuno sa raccontare una donna, meglio di una donna.
La tragedia di un uomo ridicolo (1981)
Scritto e diretto da Bernardo Bertolucci. Interpretato da Ugo Tognazzi nei panni di Primo Spiaggiari, titolare di una rinomata azienda casearia. Una vita apparentemente monotona, sconvolta dall’arrivo di una richiesta di riscatto di un miliardo di lire per il figlio. Primo si convince che il figlio rapito è in realtà morto ed elabora un piano per usare il denaro per l’azienda in crisi, invece che per il riscatto. La disperazione spinge l’uomo a complicarsi la vita e a convivere con un enorme disumano senso di colpa.
Prima della rivoluzione (1964)
Parma, 1962. Lo studente Fabrizio (Francesco Barilli) rimane scioccato dalla morte dell’amico Agostino per annegamento. Un amore impossibile per la bellissima e giovane Zia Gina, la fine della sua relazione con la fidanzata di sempre, Clelia. Un uomo in piena crisi d’identità che cerca di tornare sulla retta via. Con questa pellicola Bertolucci trasporta la nouvelle vague francese nel cinema italiano.
Ultimo tango a Parigi (1972)
Il film che ha consacrato Bernardo Bertolucci. Un uomo (Marlon Brando) e una donna (Maria Schneider) si incontrano in un loft disabitato per fare l’amore: non si conoscono e senza alcun preambolo si lanciano in questa passione animalesca. I due decidono di cominciare una relazione fatta solo di rapporti intimi, senza conoscere neppure il nome dell’altro. Nonostante la censura, il film si rivelò un successo ed è ancora oggi il capolavoro italiano più visto sul grande schermo. In questa pellicola c’è tutto l’estro creativo di Bertolucci, il talento di un uomo anticonformista nato per fare cinema.