Il debutto da regista di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar con La Grande Bellezza è un film che si lascia guardare con passione.
Siamo nella Napoli dei primi anni ’80 alle prese con la storia di due omonimi. Uno è un cantautore prossimo all’autodistruzione, ovvero Tony Pisapia (Toni Servillo), cocainomane e anaffettivo. L’altro, Antonio Pisapia (Andrea Renzi), è un timido calciatore dimenticato dal mondo dello sport dopo un grave infortunio.
Perché “L’uomo in più” non è soltanto una tattica calcistica, ma in questa pellicola risulta essere un’intuizione, un’opportunità di rinascita, l’occasione del riscatto. Che non tutti riescono a cogliere nel modo opportuno, che si presenta sotto mille forme e spesso quando ormai è troppo tardi.
Stesso nome, stesso destino: le vite dei Pisapia secondo Sorrentino
Magistrale l’interpretazione di Servillo che tocca le corde dell’anima con un lungo e intenso monologo sulla vita. Più in ombra quella di Renzi, il cui personaggio, però, è fondamentale nella dinamica della storia. Sorrentino comincia già a delineare il tratto fondamentale della sua regia: l’uomo che vive tra gli eccessi.
L’essere umano è travolto dalle passioni, in preda ai suoi sentimenti. Ma è davvero questa la libertà? O non si tratta in definitiva di un’altra etichetta sociale? Più dell’essere se stessi, per i protagonisti conta essere “qualcuno” e sarà questa la loro più grande sconfitta.
Un film da vedere e comprendere per capirsi un po’ di più. Una pellicola che ci mostra la vita da un punto di vista interno, come è solito fare Sorrentino: oltre le maschere, oltre le apparenze, ci sono due uomini e le loro esistenze parallele, il grande senso di solitudine e l’invocazione di un karma che tarda sempre ad arrivare.