Diverse sono le interpretazioni sulle origini del Carnevale: c’è chi fa risalire la festa agli Antichi Romani, quando durante i Saturnali si andava in giro vestiti di maschere; c’è, invece, chi punta tutto sul Medioevo e sui riti propiziatori che prevedevano il rogo di un fantoccio di cartapesta. Nella tradizione cristiana il significato del Carnevale coincide con il periodo che precede la Quaresima.
L’etimologia della parola “Carnevale” deriva dall’espressione latina “canem levare”, che significa astenersi dalla cane, proprio come avviene nel periodo che precede la Pasqua.
Maschere italiane: dalla Commedia dell’Arte al Carnevale
In Italia il Carnevale è strettamente legato alle maschere regionali, alcune risalenti agli albori di questa festa, come Colombina, Meneghino e Pulcinella. Le altre, invece, sono nate nel Seicento, con la Commedia dell’Arte: è il caso di Pantalone, Gianduja e Arlecchino. Ogni personaggio, ogni costume, ogni maschera di Carnevale ha una sua storia e un suo significato. Le maschere italiane rappresentano vizi e virtù del popolo, ma anche della classe borghese e nobile e sono utilizzate ancora oggi come maschere di Carnevale per bambini. Scopriamo insieme le caratteristiche di questi tradizionali costumi, maschere di carnevale veneziane e non, protagonisti dei Carnevali più bizzarri.
Pulcinella – Napoli
Senza dubbio la maschera di Carnevale italiana più popolare al mondo, il simbolo di Napoli. Camicione bianco che si accompagna a larghi pantaloni dello stesso colore, bianco è anche il cappuccio che porta in testa, mentre sul viso troneggia una grossa maschera, che copre il naso ricurvo. Inventata in terra partenopea nella seconda metà del Cinquecento, la maschera di Pulcinella rappresenta l’anti-eroe ribelle e irrivente per eccellenza. Insieme ad Arlecchino, suo compare, è sempre pronto ad organizzare scherzi e imbrogli ai danni dei nobili. Pulcinella è allegro, arguto, spontaneo, generoso, chiacchierone, affamato di cibo e di vita.
Arlecchino – Bergamo
La famosa maschera bergamasca della Commedia dell’Arte incarna il servo sciocco e villano. Il suo nome deriva dagli Herlequins, i diavoletti buffoni delle rappresentazioni medievali francesi. Sempre in lite con Brighella, con la battuta pronta, buono e generoso con gli amici, si distingue tra le altre maschere per il suo vestito dai mille colori: secondo la tradizione a cucirgli il costume è stata la madre, poverissima, dopo aver raccolto pezzi di tessuto di vari colori donate dai suoi amici affinché anche lui potesse avere un abito. Completano il costume della maschera di Arlecchino una maschera nera, un cappello bianco e una spatola di legno.
Colombina – Venezia
La maschera femminile per eccellenza, nata dalla tradizione veneta. Si tratta di una spiritosa e furba servetta, maliziosa e bugiarda, che ama civettare in giro parlando nel dialetto tipico delle maschere veneziane. Per compiacere la sua signora Rosaura è disposta a combinare imbrogli su imbrogli. Battagliera e agguerrita contro chiunque osi mancarle di rispetto, indossa una cuffia e un vestito a fiori bianchi e blu con calze rosse e scarpette dal fiocchetto azzurro. La maschera di Colombina si trova già nelle commedie di Plauto, come figura di ancella cinica e adulatrice, sempre pronta a suggerire alla padrona un’astuta scappatoia. Il padrone Pantalone la corteggia, scatenando la gelosia di Arlecchino, innamorato di lei.
Pantalone – Venezia
Questa maschera veneziana compare intorno alla metà del Cinquecento e rappresenta il tipico mercante vecchio, avaro e lussurioso. Un brontolone scapolo che crede nel denaro e nel commercio e arranca dietro le belle donne. Ai piedi porta le pantofole, ha un camicione e una calzamaglia rossi con un colletto bianco e sopra indossa un mantello nero. Il volto è coperto da una maschera e porta una cintura in vita e una cuffia aderente. Nervoso e rompiscatole, va in giro a lamentarsi costantemente, come tanti personaggi di Carnevale.
Gianduja – Torino
Nata nel 1798, questa maschera piemontese deve il suo nome all’espressione tipica del luogo, Gianduia, “Gioan d’la douja”, che vuol dire Giovanni del boccale. Più che un nome, una precauzione politica: fino al 1802, infatti, la maschera si chiamava Gerolamo, che richiamava troppo allusivamente Gerolamo Bonaparte, parente dell’imperatore. Gianduja rappresenta a tutti gli effetti lo stereotipo piemontese del galantuomo coraggioso e testardo. Indossa un cappello tricorno e ha una parrucca con codino. Per quanto riguarda il costume, invece, è creato a partire da un panno di color marrone con bordo rosso, il panciotto è giallo e le calze sono rosse. Non è tutto, per una delle più amate maschere di Carnevale tradizionali: sul collo porta un fiocco verde oliva e un ombrello dello stesso colore. Scarpe nere e calzini rossi, et voilà, è pronta la maschera che ama il buon vino, l’ottima cibo e l’allegra compagnia.
Balanzone – Bologna
ll Dottor Balanzone è un personaggio serio tra le mascherine di Carnevale, brontolone e sapientone. Parla molto, portando in scena la sua sapienza, ma spesso non conclude niente. Ha un cappello nero a larghe falde, come tutti i dotti indossa una toga lunga e nera, il panciotto e i pantaloni neri. Sui polsi spicca il merletto bianco, intorno al collo un colletto di pizzo. Le calze sono bianche e le scarpe nere con un tacco rialzato. Baffetti all’insù e libro sotto il braccio per sostenere le baggianate che escono continuamente dalla sua bocca.
Rugantino – Roma
Il tipico personaggio romanesco tra le maschere di Carnevale italiane, un giovane all’apparenza arrogante e impertinente, ma buono e amabile nel profondo. Il nome sembra richiamare il vizio della “ruganza”, la dialettale arroganza e proprio Rugantino ha l’abitudine di “rugà”, ovvero agire e parlare con strafottenza. Rugantino è un provocatore che va in giro a cercare rogne, per sete di giustizia del tutto personale. L’abito rispecchia il suo spirito da attaccabrighe: pantaloni consunti al ginocchio, fascia intorno alla vita, camicia con casacca e fazzoletto intorno al collo.
Brighella – Bergamo
Degno compare di Arlecchino, scaltro e astuto, Brighella è il cuoco imbroglione e chiacchierone, arrogante con i sottoposti e ruffiano con i padroni. Indossa la livrea, l’abito composto da calzoni larghi e giacca bianchi, listati di verde, un mantello bianco, anch’esso con due strisce verdi, un berretto a sbuffo e mezza maschera sul viso.
Meneghino – Milano
La maschera simbolo dell’animo patriottico milanese contro la dominazione asburgica. Meneghino o Domenichino, diminutivo di Domenico, si presenta con un inconfondibile cappello a tre punte è la maschera milanese quindi per eccellenza, inconfondibile con il suo cappello a tre punte e la parrucca con codino alla francese. Il vestito si compone di una lunga giacca di velluto, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche. Punta il dito contro i difetti degli aristocratici ed è sempre pronto a difendere i suoi amici servitori. Un dettaglio che lo distingue dagli altri: non porta la maschera.
Stenterello – Firenze
Poteva mancare la maschera tradizionale toscana? Ecco Stenterello, chiacchierone pauroso ma ingegnoso. Indossa una giacca blu con il risvolto delle maniche a scacchi rossi e neri. Il panciotto puntinato verde pisello si accompagna a pantaloncini scuri e corti. Ha una calza rossa e una a strisce bianco e azzurro con le scarpe nere. A completare il costume ci pensano un cappello a barchetta nero e una parrucca con il codino. Generoso, arguto e ottimista, passa le sue giornate scappando dai numerosi creditori.
Vizi e virtù degli italiani, incarnati da personaggi validi in ogni tempo e in ogni epoca, perché in ognuno di noi resta traccia dell’allegria di Pulcinella, della malizia di Colombina, dell’avarizia di Pantalone, della bontà di Arlecchino. E allora su la maschera, anzi le maschere, colorate, irriverenti, divertenti, storiche.