L’agricoltura è fra i settori produttivi più vulnerabili ed esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Lo stress idrico e termico potrebbero influire, da qui al 2050, sulla produzione di mais su scala europea.
Ed è proprio per questo motivo che è stato lanciato, da pochi giorni, un progetto innovativo internazionale che prevede una durata di 36 mesi. Il progetto è nato proprio in Italia, dalla collaborazione tra il Centro di Ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali del Crea e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, oltre al supporto dell’Associazione Italiana Maiscoltori-Ami e della Confederazione Produttori Agricoli-Copagri.
Dal nome ‘Dromamed‘, esso coinvolge nove nazioni tra Europa e Nord Africa, e ha come obiettivo principale la capitalizzazione del germoplasma del mais mediterraneo, al fine di migliorare la sostenibilità dei sistemi colturali e la loro resilienza.
Nasce il progetto Dromamed per tutelare le colture di mais: come resistere ai cambiamenti climatici
In linea con gli obiettivi comunitari in materia di sostenibilità, il progetto Dromamed mira a tutelare la biodiversità e le risorse genetiche, e si articolerà in 3 fasi distinte.
La prima fase prevede di impostare il miglioramento genetico del mais, così come spiegano i ricercatori: “Questo è il primo tentativo, così largamente condiviso fra i numerosi partner di entrambe le sponde del Mediterraneo, di impostare il miglioramento genetico del mais per tolleranza alla siccità e agli stress correlati negli areali del Sud Europa e del Nord Africa e, in prospettiva, in aree più ampie di diffusione di questa coltura. Obiettivo generale della ricerca è la capitalizzazione delle risorse genetiche mediterranee, italiane ed europee di mais, per superare le limitazioni attuali nell’adattamento di questa coltura a condizioni agroambientali sub-ottimali, o in aree mediterranee o dovute al climate change.“
La seconda fase sarà caratterizzata infatti dalla raccolta e analisi di germoplasma finora inesplorato, che verrà studiato integrando competenze genetiche, biochimiche, agronomiche e fisiologiche, in sinergia con i partner del progetto.
La terza e ultima fase del progetto prevede il ruolo attivo di agricoltori e stakeholder, cui spetterà il compito di seguire lo svolgimento delle attività progettuali e rafforzare l’impatto sociale.
AMI e Copagri sottolineano l’importanza di puntare su trattamenti innovativi, che siano di semplice applicazione e a basso impatto ambientale.
La superficie di mais coltivata in Italia è scesa quest’anno al di sotto dei 600mila ettari, rispetto ai quasi 630mila del 2019. Per quanto riguarda la produzione italiana, per ora resta invariato il dato della scorsa annata con 6,8 milioni di tonnellate, in aumento rispetto alle 6,2 del 2019.