“Lo sport insegna che per la vittoria non basta il talento, ci vuole il lavoro e il sacrificio quotidiano. Nello sport come nella vita.” (Pietro Mennea)
Campioni non si nasce. Campioni si diventa a costo di numerosi sacrifici, di tempo dedicato a migliorarsi, di sudore speso fuori e dentro i confini del mondo dello sport. Inauguriamo le Iex Stories dedicate ai grandi sportivi italiani con un grande protagonista del panorama sportivo italiano, l’indimenticabile corridore Pietro Mennea.
Pietro Mennea: la vita dell’italiano più veloce del mondo
Pietro Paolo Mennea nasce a Barletta il 28 giugno del 1952. La madre è casalinga e il padre è sarto. Le sue notevoli doti atletiche vengono fuori subito, già dall’adolescenza. La corsa è il settore in cui eccelle. A soli 19 anni debutta nel suo primo grande evento, i Campionati Europei del 1971, conquistando il sesto posto nei 200 metri e la medaglia di bronzo nella staffetta 4×100. Il talento di Mennea colpisce gli addetti al settore a tal punto da essere chiamato a rappresentare l’Italia alle Olimpiadi già l’anno successivo. Monaco, 1972: il giovane pugliese conquista il podio nella finale dei duecento metri. Sul suo petto brilla la medaglia di bronzo. La sua carriera sportiva prende il volo: medaglia d’argento agli Europei di Roma (nella staffetta e nei cento metri) e medaglia d’oro nei 200 metri. Questa diventerà la sua distanza preferita e il sovietico Brozov diventerà il suo rivale storico.
Arrivano le Olimpiadi di Montreal: Mennea inizialmente rifiuta, non si sente in forma, poi accetta, ma come previsto, per lui non arriva nessuna vittoria di rilievo. Agli Europei di Praga del 1978 tira fuori dal cilindro una prestazione eccezionale: vince per la prima volta i 100 metri. Nello stesso anno conquista il massimo risultato anche sui 400, agli Europei indoor. Nel 1979 tocca alle Universiadi a Città del Messico. E qui la storia personale di Pietro Mennea incrocia la Storia dei primati mondiali: 200 metri percorsi in 19 secondi e 72 centesimi. Il record di Pietro Mennea, realizzato a duemila metri di altezza, rimarrà imbattuto per ben 17 anni a livello mondiale e resta imbattuto ancora oggi a livello europeo.
Alle Olimpiadi di Mosca del 1980, il velocista pugliese conquista il primo gradino del podio nei duecento metri, superando l’avversario Allan Wells per soli due centesimi, e conquista anche il bronzo nella staffetta 4×400. Pietro Mennea diventa per tutti la Freccia del Sud. Il 22 marzo del 1983 arriva la massima consacrazione: un altro record mondiale, quello dei 150 metri percorsi sulla pista dello stadio comunale di Cassino in 14 secondi e 8 decimi.
E poi ancora, alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 Mennea diventa il primo atleta al mondo a disputare quattro finali consecutive dei duecento metri nella massima competizione sportiva. Annuncia il suo ritiro dalle competizioni, ma ci ripensa e nel 1988, a 36 anni, si presenta ancora una volta alle Olimpiadi, di Seul stavolta. In quell’occasione il simbolo della velocità italiana verrà scelto anche come alfiere azzurro nel corso della cerimonia di apertura: a lui andrà il prestigioso compito di portare la bandiera italiana. Il 21 marzo del 2013, all’età di 60 anni, un male incurabile ferma la sua lunga corsa, fatta di successi incredibili, vento tra i capelli e record imbattuti.
Una partenza dai blocchi piuttosto lenta e un’accelerazione progressiva che raggiungeva velocità inarrivabili per tutti gli altri. Le sue doti tecniche ben si adattavano alla disciplina dei duecento metri, una distanza che lo ha visto protagonista di rimonte eccezionali, ai limiti dell’impossibile. Era l’uomo delle ultime frazioni di staffetta, quelle del recupero e dello sprint finale. L’Italia non ha mai dimenticato questo grande campione. Pietro Mennea è stato ricordato con film, libri, documentari e diverse serie tv, per alimentare un mito che le nuove generazioni hanno l’obbligo di conoscere.
Un uomo che ha scelto di correre, di vivere tra battiti accelerati e cambi veloci, di spingere i sogni in avanti e di inseguirli, dentro e fuori la pista. Fino all’ultimo secondo, all’ultimo ticchettio di cronometro, all’ultimo passo, quello messo davanti a tutti gli altri. Uno sguardo a destra, un’occhiata a sinistra, e quelle mani alzate al cielo con in bocca il sapore più gustoso, quello della vittoria.