Oggi qui a IEX – Italian’s Excellence abbiamo il piacere e l’onore di intervistare un campione, un eccellente nuotatore, un orgoglio italiano nel campo dello sport paralimpico. Per la nostra rubrica dedicata alle IEX Stories, le eccellenti storie italiane, oggi si racconta Vincenzo Boni.
Chi è Vincenzo Boni? La biografia ufficiale parla di un giovane uomo nato a Napoli il 1 marzo del 1988, ma messo alla prova dalla vita fin da piccolo. A 6 anni gli è stata diagnosticata la neuropatia di Charcot-Marie-Tooth, una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico che causa difficoltà nella deambulazione e deformazione degli arti. La scoperta del mondo del nuoto, però, ha cambiato il suo destino.
1. Come hai cominciato a nuotare e quando hai capito che avresti potuto trasformare la tua passione per questo sport in una carriera vincente? Insomma, quando hai deciso di diventare un professionista del nuoto?
Sono nato sotto il segno dei Pesci e l’incontro con l’acqua, quindi, era già scritto nel mio destino. Quando ho deciso di intraprendere la carriera agonistica ho messo in stand-by tutto quello che stavo facendo, per dedicarmi completamente a quella carriera. Il futuro mi ha dato ragione: in breve tempo sono riuscito a scrivere delle pagine importanti del mio destino e, soprattutto, della storia del nuoto italiano paralimpico.
2. Prima medaglia nel 2014, un bronzo ai Campionati Italiani Estivi di Bari, le ultime 3 conquistate, invece, sono del metallo più pregiato: oro in tre specialità agli Europei di Dublino del 2018. In mezzo c’è un’intera carriera, fatta di record mondiali, europei e italiani e di un medagliere molto ricco, di cui parleremo insieme. Ma se chiudi gli occhi e pensi all’emozione più bella di questo percorso, a quale momento pensi?
Ho iniziato a nuotare ad alti livelli nel 2014. La mia prima medaglia, a luglio dello stesso anno, è stata per me importantissima. Un buon trampolino di lancio e punto di partenza. Da lì in poi e stato un susseguirsi di successi, dovuti a tanta fatica e tanto sacrificio e, soprattutto, a tanta dedizione. mia e di chi mi sta intorno: la mia società, il mio allenatore, e quella di tutti coloro che hanno creduto in me.
La medaglia più importante è quella conquistata alle paralimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016. Nuotavo solo da un anno e mezzo. Conquistare quel bronzo è stato per me qualcosa di fantastico, di stupendo. La gioia che sentivo dentro era veramente immensa.
Non potrò mai dimenticare, però, le tre medaglie d’oro conquistate agli Europei di Dublino, ad agosto 2018. tre gare, tre medaglie d’oro. Far cantare per tre volte l’inno d’Italia è stata un’emozione indimenticabile, tanto da tatuare sulla mia pelle la scritta “L’Italia chiamò!”.
3. Nel 2016 arriva la convocazione per le Paralimpiadi di Rio de Janeiro e arriva la conquista di una medaglia importantissima: il bronzo nei 50 mt dorso. Non solo: sempre alle paralimpiadi di Rio, hai fatto registrare il record italiano sui 200 metri Stile Libero, percorsi in 3’30’’02. Tre minuti che equivalgono a mesi e mesi di preparazione. Come ci si prepara a una Paralimpiade?
Tutti gli atleti hanno come sogno quello di arrivare a disputare le Olimpiadi. Pochi mesi prima mi ero laureato campione europeo, quindi ero uno dei più accreditati nei 50 mt. dorso. Ma non avevo la certezza di essere convocato, finché non è arrivato a casa il pacco gara, firmato da Giorgio Armani, lo stilista che ha creato le divise ufficiali della squadra olimpica italiana. Davanti a me c’era la divisa completa, tutto il kit, compresa la cuffia che riportava il mio nome scritto con il simbolo dell’Italia e lì ho veramente capito che stavo andando a disputare qualcosa che avrei ricordato per sempre.
Per preparare una Paralimpiade occorrono anni di lavoro, soprattutto sotto l’aspetto mentale. Devi nascere con l’istinto e la voglia di disputare quella grande gara. Una gara importante, come la Paralimpiade, si prepara con tanta dedizione, tanto sacrificio, tanto spirito battagliero. E questo è ciò che mi accompagna nelle mie giornate di preparazione. Io nuoto tutti i giorni, dal Lunedì al Sabato, quindi tutte le mattine. Tre volte alla settimana vado in palestra di pomeriggio. Intorno a me è stato creato un progetto. Ci sono preparatori atletici, un nutrizionista, un fisioterapista, un mental coach. Ho avuto la fortuna di incontrare persone che credono in me e quindi nuoto in modo spensierato, concentrato solo sulla gara e sul far girare le braccia, senza preoccuparmi degli aspetti secondari.
4. Sei uno sportivo e sei anche napoletano, un connubio che porta a pensare subito alla scaramanzia. Si sa che tutti gli sportivi hanno una consuetudine, un rito consolidato, fatto di gesti ripetuti prima di ogni gara, specialmente di quelle più importanti. Ecco, siamo curiosi, qual è il tuo rito prima di scendere in vasca?
Prima di partire per ogni competizione, porto lo stesso paio di scarpe, la stessa carrozzina, lo stesso spazzolino, la tuta della divisa, ovvero tutte le cose che hanno portato bene nella volta precedente.
5. Allontaniamoci per un attimo dal mondo della piscina e parliamo delle tue passioni. Mi hanno parlato della tua anima da tifoso azzurro e di una certa passione per il cinema e per la cucina partenopea. Fuori dalla vasca, quando non è impegnato a fare il campione, chi è Vincenzo e cosa ti piace fare?
Da quando sono diventato un atleta professionista, il tempo fuori dalla vasca è poco, è limitato. Lo spendo soprattutto a riposare, ma quando posso preferisco uscire, incontrare amici, girare per negozi di elettronica che sono la mia più grande passione. Da buon partenopeo sono tifoso del Napoli al 100%, tanto da tatuare anche questo sulla pelle. Sono un fan della cucina partenopea, soprattutto della pizza fritta, a causa del mio regime alimentare non posso approfittarne quanto vorrei, ma dopo le gare andate bene, nutrizionista e allenatore mi concedono uno strappo alla regola.
6. Non si arriva a conquistare grandi traguardi senza il giusto appoggio di chi ci ama e di chi amiamo. E allora parliamo anche di chi ti sta intorno, di chi ti supporta, di chi lo ha fatto in tutti questi anni di sacrifici e conquiste. La famiglia, gli amici, chi sono i tuoi più grandi sostenitori e le persone a cui senti di dover dire Grazie?
Sono arrivato dove sono soprattutto grazie al supporto, al sostegno, alla fiducia di coloro che hanno creduto in me. Ho la grande fortuna di far parte di una società sportiva solida, che crede in me e che ha messo a mia disposizione un allenatore che mi dà tutto se stesso e che mi insegna tanto. Anzi, ci insegniamo le cose reciprocamente. A me piace dire che l’allenatore fa l’atleta, come l’atleta fa l’allenatore.
Poi c’è la mia famiglia, a cui non importano i miei risultati: per loro sono un successo tutti i traguardi che ho raggiunto. Vederli contenti dopo ogni vittoria, mi ripaga di tutti i sacrifici fatti. Ho amici che mi spronano prima di ogni gara e che sono pronti a consolarmi in caso di sconfitta con le parole giuste. Sono molto fortunato!
7. Prendiamoci uno spazio per una domanda difficile, anche scomoda in un mondo sempre costantemente attento al politically correct. Chi ha avuto la fortuna, perché in definitiva si tratta di quello, di nascere con tutti i geni al proprio posto, non sa come muoversi con la giusta delicatezza quando si parla di persone che hanno a che fare con enormi difficoltà quotidiane nel compiere gesti anche apparentemente semplici. Allora aiutaci tu, Vincenzo e spiegaci cos’è per te la disabilità, ma soprattutto consigliaci sul modo migliore di relazionarsi e rivolgersi ad una persona che deve fare i conti con quelle difficoltà.
Una persona disabile si reputa normale e ha imparato a vivere e convivere con i propri limiti. Se ne sentono tante in giro: si sente spesso di atti di bullismo nei confronti delle persone con disabilità, si sentono termini non appropriati.
La disabilità è negli occhi di chi guarda e in effetti è così: l’occhio si sofferma a guardare una persona in carrozzina o con difficoltà motorie. Una persona con qualsiasi tipo di disabilità è prima di tutto una persona, che convive con delle difficoltà e quindi va apprezzato per ciò che sta facendo. Magari quella persona che stai osservando ha dovuto fare un percorso più lungo per trovare il punto più accessibile dal quale attraversare la strada.
Tutto dipende da come viene proiettata la disabilità nella propria mente: se io vedo qualcuno in difficoltà, con dei problemi, ho l’istinto di aiutarlo, non quello di provare compassione o deriderlo. È la società che ti fa sentire disabile. Per esempio, se sei in carrozzina e vuoi salire su un treno, devi chiedere aiuto all’assistenza, la devi prenotare, deve essere aperta una porta da parte. Se bastasse premere un pulsante per far comparire una pedana ci sentiremmo più autonomi e meno disabili.
L’Italia sta facendo dei passi avanti, ma in altri paesi europei c’è proprio la cultura della disabilità: il disabile viene inteso come una risorsa da mettere al servizio degli altri.
8. Sei stato insignito dell’Onorificenza di Cavaliere della Repubblica dal Presidente Sergio Mattarella e ai campionati Mondiali di Londra di quest’anno sei stato il portabandiera della delegazione italiana e hai sfilato con il tricolore durante la cerimonia di apertura dei giochi. Cosa significa per te rappresentare l’Italia nel mondo?
Rappresentare l’Italia vuol dire essere riusciti in qualcosa che ci si era prefissati di fare, quindi significa essere riusciti a conquistare un posto in Nazionale, delle medaglie importanti. Per me significa “Vincenzo ce l’hai fatta! Stai rappresentando il tuo Paese, la tua nazione!”. E quando ti capita di vincere e sentire le note dell’Inno d’Italia che risuonano, in quel momento sai che meglio di un italiano non c’è nessuno, e questo vale veramente tanto.
9. Nel 2017 sei stato nominato tra gli Ambasciatori dello sport paralimpico, un gruppo di atleti d’élite il cui compito è quello di portare la propria testimonianza sportiva e professionale nelle scuole e nelle unità spinali. Come simbolo di chi non si è arreso, di chi cerca di superare ogni giorno le numerose difficoltà e i limiti che, inevitabilmente, ostacolano il raggiungimento di ogni traguardo, quale messaggio ti senti di condividere con chi si trova a dover convivere con una disabilità di qualsiasi tipo?
Essere un Ambasciatore Paralimpico vuol dire girare le scuole e le unità spinali per incontrare i ragazzi e ogni volta che succede spero che almeno uno di loro torni a casa con le mie parole che gli rimbombano ancora nella mente. Quando mi trovo di fronte persone affette da disabilità che mi chiedono consigli, che mi chiedono aiuti, che mi dicono: “Ma come fai’ Vorrei farlo anche io!”, lì capisco che il mio esempio può essere fondamentale per loro. Racconto loro la mia testimonianza di vita vissuta, fatta di avventure e disavventure che mi hanno portato dove sono.
Quello che mi sento di consigliare è di essere sempre se stessi e credere nei propri sogni, credere alle proprie ambizioni e cercare di esaudire i propri desideri, sapendo che un sogno non si realizza dall’oggi al domani. Io ho realizzato il mio dopo tanti e tanti anni, quindi non vi ponete limiti e fatevi consigliare da chi crede in voi.
Siete affetti da una disabilità? Vi piace lo sport? Puntate ad essere atleti paralimpici ad alto livello. Vi piace dipingere? Magari potete diventare i più grandi pittori.
Penso ad un grandissimo pianista disabile, Ezio Bosso, che è un grande esempio per tantissimi. Ci sono tanti atleti, tanti artisti, la disabilità non è una condizione che ti limita, la disabilità è una condizione che ti pone davanti delle difficoltà che poi sarai tu stesso ad aggirare, trovando la strada per raggiungere ciò che ti eri prefissato.
10. Alla fine dello scorso anno hai vinto ancora, questa volta fuori dalla piscina, in aula, conseguendo la laurea in Culture Digitali e della Comunicazione. Nei prossimi giorni sarai in tv, protagonista della maratona Telethon per raccogliere i fondi necessari alla ricerca. Nel 2020 è fissato l’appuntamento con le Paralimpiadi di Tokyo. Alla luce di tutti questi progetti e di tutte queste opportunità che ti si aprono davanti, Vincenzo Boni cosa vuole fare “da grande”?
Sono contento di avere giornate così piene, sono felice di essere un ambasciatore Telethon, perché credo fortemente nella ricerca, credo fortemente che un giorno possa usci fuori una cura per la mia patologia e per altre patologie invalidanti. Quando Telethon chiama, io rispondo sempre “Presente!”. Sono contentissimo di andare in TV e portare la mia testimonianza: sfruttare la televisione come mezzo comunicativo per arrivare a più persone è qualcosa che mi rende felice e spero che siano in tanti possono seguire le mie orme sotto il profilo sportivo.
Quando lo scorso anno sono riuscito a laurearmi, ho capito quanto stessi facendo grandi cose. Un altro pezzettino del puzzle si era aggiunto per fare della mia vita un capolavoro. La nuova vita è una tela e io ho in mano il pennello per dipingere tante cose belle e un giorno poi magari mostrare agli altri questo quadro.
Prossimi appuntamenti?
Sabato 14 dicembre, come detto, sarò in prima serata su Rai Uno per la maratona Telethon. E poi, per quanto riguarda lo sport, abbiamo un sogno da realizzare: prendere parte ad una nuova Paralimpiade, a Tokyo, in Giappone, nel 2020. Io ce la metterò tutta per dire, oltre a “Io c’ero!”, anche “Io sono riuscito a dire la mia!”.